venerdì 13 gennaio 2017

Ungheria: Marcz “Alla mia Ungheria serve grinta”


Nell’estate 2013 Tamas Marcz lasciava la pallanuoto giocata. Dopo appena 3 anni e mezzo lo ritroviamo c.t. dell’Ungheria, la nazionale con la bacheca più ricca della storia della pallanuoto. Una carriera lampo, quella del campione olimpionico a Sydney 2000, favorita da un’intelligenza tattica affinata nei tanti anni di esperienza in Italia – con le calottine di Savona, Chiavari, Nervi, Pro Recco e Acquachiara – e dall’addio inatteso di Tibor Benedek, che ha lasciato la guida dell’Ungheria lo scorso ottobre, dopo il quinto posto alle Olimpiadi di Rio de Janeiro. Abbiamo intervistato Marcz, oggi 42enne, per conoscere i suoi piani da c.t. in un anno particolare, segnato dai Mondiali che l’Ungheria giocherà in casa, a Budapest. Per concentrarsi sulla Nazionale magiara, il nuovo commissario tecnico ha deciso di lasciare il suo ruolo di allenatore del Vasutas: a sostituirlo sarà il secondo Levente Szucs.
Tamas, ci hai messo poco a diventare c.t….
La scorsa settimana Marcz ha tenuto a Szolnok il primo collegiale da c.t.
La scorsa settimana Marcz ha tenuto a Szolnok il primo collegiale da c.t.
Quando ho smesso di giocare era un mio obiettivo, ma non pensavo di arrivare così giovane a una panchina tanto importante. In realtà non mi aspettavo neanche che Tibor lasciasse il ruolo di c.t.. Ma la vita è così, piena di sorprese. Come si è liberata la panchina dell’Ungheria, ho iniziato a sperare: venivo da tre anni e mezzo di buoni risultati al Vasutas, ho potuto anche lavorare con Benedek nello staff della nazionale e avere poi un’esperienza da secondo di Andras Meresz sulla panchina della femminile ai Mondiali di Kazan. È stato un piacere tornare in federazione con un ruolo ancora più importante.
La MVLSZ, la Federazione magiara, ti ha scelto tra ben 13 candidati: questa condizione ti mette ulteriore pressione?
Avevo concorrenti di prestigio, ma averli superati non mi crea stress, anzi: nella Federazione ci sono persone importanti per la pallanuoto ungherese, anche alcuni miei ex compagni, e avere ottenuto la loro fiducia mi dà una grossa carica. Sento una Federazione unita alle mie spalle.
Quali sono i tuoi piani a breve e lungo termine?
Il mio è un progetto quadriennale sviluppato in due fasi: quest’anno puntiamo a costruire una squadra competitiva per i Mondiali di Budapest, nei prossimi 3 lavoreremo in vista di Tokyo 2020. In questa stagione, quindi, convocherò ogni atleta che potrà servire a raggiungere un buon risultato ai Mondiali. Dopo Budapest ci concentreremo sui giovani per Tokyo.
Cosa è mancato all’Ungheria per conquistare una medaglia a Rio?
Penso che alle Olimpiadi la squadra fosse competitiva, è mancata un po’ di lucidità nel quarto di finale contro il Montenegro, un turno difficilissimo. Fisicamente l’Ungheria era preparata, ha combattuto per tutta la gara, ma ci sono stati dei cali di concentrazione e sono stati concessi troppi tiri da fuori al Montenegro. Sono aspetti su cui si può lavorare per migliorare.
Dall’esterno, la sensazione è che, negli ultimi impegni internazionali, all’Ungheria sia mancato l’apporto di alcuni giocatori chiave. Denes Varga, ad esempio, è tecnicamente uno dei migliori giocatori al mondo, ma negli ultimi anni è spesso mancato agli appuntamenti importanti. Nella tua nazionale dovrà assumersi il ruolo di leader?  
Denes Varga, attaccante classe '87
Denes Varga, attaccante classe ’87
Al momento Denes Varga è un punto interrogativo: non sappiamo ancora se vorrà continuare a giocare in Nazionale, dopo Rio non è stato chiaro. Lui gioca con molta pressione addosso, gli si chiede di essere sempre il trascinatore, e non è facile. Ma un atleta deve sopportare questo stress. Il suo futuro è un punto interrogativo. Quello che posso dire, è che in Nazionale voglio giocatori motivati: bisogna guardare sempre avanti, essere pronti a lottare, altrimenti anche un giocatore forte può diventare una debolezza per la squadra.
Ci sono altri giocatori che non hanno chiarito se lasceranno la Nazionale?
Ufficialmente Szivos e Kis si sono ritirati, ma spero che la squadra sia competitiva anche senza di loro. Per me valgono più la grinta e le motivazioni che la qualità dei giocatori: giocheremo un Mondiale in casa, non credo che debba essere io convincere i giocatori a restare in Nazionale.
Pensi che sui risultati altalenanti dell’Ungheria degli ultimi anni pesi il confronto con il grande passato della nazionale magiara?
Quel peso non c’è più. Nelle ultime due Olimpiadi non abbiamo vinto medaglie, le nuove generazioni non hanno quel genere di pressione. Da questo punto di vista i giocatori sono sereni, i più giovani vogliono farsi vedere. Ma tornare subito a vincere non sarà facile, perché il contesto internazionale è molto più equilibrato e la qualità del gioco s’è alzata.
C’è qualcosa che ruberesti alle altre nazionali?
Conosco bene l’Italia, mi piace molto come difende, ma anche l’organizzazione della federazione e dei settori giovanili. E ho apprezzato il lavoro della Grecia, come è cresciuta tecnicamente, come controlla la palla. Sono favoriti dal fatto che quasi l’intero gruppo della nazionale lavora insieme tutto l’anno nell’Olympiacos, è un vantaggio che si vede. Hanno continuità, una grande dote.
L’Ungheria non partecipa alla World League: sarebbe servito?
Da una parte sì, per provare i nuovi giocatori. Da un altro punto di vista poteva portare negatività ai giocatori più importanti, che già giocano un gran numero di partite con i club. Da c.t. è sicuramente uno svantaggio. Per il mio esordio dovrò aspettare la Volvo Cup, in programma dal 10 al 12 febbraio alla nuova piscina Tuske di Budapest: affronteremo Slovacchia, Montenegro e Croazia.
Alex Giorgetti, 29 anni, è nato a Budapest da madre ungherese
Alex Giorgetti, 29 anni, è nato a Budapest da madre ungherese
Alex Giorgetti ha annunciato l’addio al Settebello: ha passaporto ungherese, ti interessa naturalizzarlo?
Conosco Alex e so del suo ritiro. È un ottimo giocatore, ma non so che vuole fare in futuro. No comment.
A Budapest, durante i Mondiali, la Fina deciderà anche delle regole sperimentali: cosa ti auguri? 
Che si continui a giocare 7 contro 7 anche in futuro, altrimenti gli allenatori possono andare a casa: il 6 contro 6 è molto più semplice e fisico. Il campo da 25 metri da un lato è un bene, velocizza il gioco, però serve maggiore rapidità e bravura anche negli arbitri, che devono seguire più azioni. In generale lascerei i 30 metri, perché è più facile costruire le controfughe. Segnare più gol non significa migliorare lo spettacolo: in sport come calcio o hockey si segna poco, ma restano interessanti. Per questo motivo anche il pallone piccolo è da bocciare.

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